La chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari riaccende il dibattito su sicurezza e salute mentale

ARTICOLO INEDITO a cura di Floriana Giraudo

La chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari ha avuto una grande risonanza a livello mediatico, anche per il suo significato simbolico. Meno clamore suscitano le difficoltà che quotidianamente i servizi di salute mentale incontrano nel confronto con le aspettative di una società sempre più attenta alle questioni delle sicurezza individuale e sociale. In questo articolo, pubblicato sul Bollettino dell’Ordine degli Avvocati di Trento (Aprile, 2017), il direttore di una struttura complessa di Psichiatria del Trentino, responsabile della REMS della regione Trentino – Alto Adige, affronta alcune questioni cruciali rispetto al delicato rapporto tra salute mentale, pericolosità e sicurezza.

 

 

L’applicazione delle leggi 9/2012 e 81/2014 ha determinato a far tempo dal 1/4/2015 la progressiva chiusura dei 6 OPG (Ospedali Psichiatrici Giudiziari) italiani e l’apertura su tutto il territorio nazionale di 30 REMS (Residenze per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza) che hanno una gestione di “esclusiva competenza sanitaria” ed “esplicano funzioni terapeutico-riabilitative e socio-riabilitative in favore di persone affette da disturbi mentali, autori di fatti che costituiscono reato, a cui viene applicata dalla magistratura la misura di sicurezza detentiva”. In questi primi due anni di attività sono emerse con chiarezza le contraddizioni e le difficoltà operative legate al fatto che – in modo piuttosto bizzarro – il “riformatore” non ha ritenuto necessario modificare in alcun modo il codice (relativamente a imputabilità, pericolosità sociale e misure di sicurezza) lasciando inalterato l’algoritmo che porta un cittadino ad essere oggetto di una misura di sicurezza detentiva. Nel sostanziale silenzio della psichiatria istituzionale e delle società scientifiche, sentiamo ancora parlare in ambito forense di “infermo di mente“, di “presunzione di pericolosità“, di “certificazione di non pericolosità”, di “coercizione cautelare” e la maggior parte delle REMS si lasciano di fatto governare in modo acritico dalla magistratura e dalle regole dell’ordinamento penitenziario. Forse la vera premessa per il superamento dell’OPG non era la chiusura (o la trasformazione) di strutture anacronistiche e imbarazzanti, ma l’abolizione delle misure di sicurezza psichiatriche e la cancellazione della pericolosità sociale legata alla malattia mentale, un concetto obsoleto e inadeguato almeno quanto gli OPG. Chiudere gli OPG e non chiudere la sorgente che li ha alimentati in tutti questi anni vuol dire solo spostare su altre strutture il problema, aumentando probabilmente i costi sociali e i rischi personali e professionali. Quello che sta succedendo è la prevedibile e inevitabile conseguenza del fatto che – sull’onda di un’evidente spinta demagogica – la psichiatria italiana, anziché promuovere una riflessione seria e una riforma consistente, ha accettato (in alcuni casi con malcelato orgoglio onnipotente) di riassumere compiti di sicurezza sociale e quindi di custodia, sostenendo implicitamente una propria competenza sui comportamenti, alludendo alla possibilità che tutti gli autori di reato debbano essere curati e/o riabilitati. I professionisti della salute mentale dovrebbero impegnarsi a mettere in discussione l’implicito di fondo che sta alla base di molti provvedimenti giudiziari, secondo il quale una buona cura produce “automaticamente” anche una riduzione del rischio di recidiva (e di pericolosità). Si tratta evidentemente di un equivoco: la cura del disturbo e il controllo del comportamento non sono aspetti così direttamente correlabili. I farmaci, le terapie psicologiche, i programmi riabilitativi sono quasi sempre efficaci nel ridurre la sofferenza della persona ma non necessariamente garantiscono il controllo del comportamento, perché il comportamento umano è una variabile molto complessa, che ha a che fare con la storia personale dell’individuo, il contesto socio-culturale, il senso soggettivo delle nostre azioni. Contrariamente a quanto affermano alcuni stereotipi mediatici, sono le persone a compiere i reati, non le malattie. In una situazione così delicata e contraddittoria, suscita preoccupazione la recente approvazione al Senato del disegno di legge n. 2067 di riforma del codice penale e dell’ordinamento penitenziario che all’articolo 1, comma 16 prevede di collocare in REMS anche i soggetti con “sopravvenuta infermità mentale nella detenzione” (art. 148 c.p.) e le persone “imputate, condannate o internate per le quali occorra accertare la presenza o meno di infermità psichiche” (osservazione psichiatrica). Siamo (quasi) tutti d’accordo che chi ha una grave patologia (cancro, aids, depressione, schizofrenia) non deve restare in un carcere fatto come quello di oggi. Resta il fatto incontrovertibile che qualsiasi struttura alla quale venga assegnato il mandato di “custodire e curare” in sicurezza i cittadini che “per qualunque causa” siano giudicati “pericolosi”, mettendo insieme prosciolti, condannati, imputati, osservazione, custodia cautelare e – perché no – disabilità, dipendenza e alcolismo, ha un nome ben preciso e una storia conosciuta: si chiama “manicomio” (Legge n. 36 del 14/2/1904). Se – a quanto pare – i tempi non sono ancora maturi per pensare di modificare drasticamente l’organizzazione punitiva e claustrofobica dell’istituzione carceraria, il diritto alla salute e alle cure dei detenuti che presentano qualche forma di sofferenza psichica non si risolve riaprendo i manicomi, ma rafforzando i programmi di tutela della salute mentale dentro e fuori dal carcere e potenziando le misure alternative alla detenzione. Rimane forte la speranza che questo groviglio di contraddizioni e di idee non sempre lineari che affollano il “doppio binario” porti ad avviare una riflessione seria e polifonica, che abbia il coraggio di prendere in mano i costrutti più critici (capacità, imputabilità e pericolosità) per arrivare – senza paura – a ripensare il senso della cura e della pena nel ventunesimo secolo

a cura di Lorenzo Gasperi

Direttore – Unità Operativa di Psichiatria – Ambito Territoriale Est – APSS Trento Residenza per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza (REMS) – Pergine Valsugana (TN)

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