San Benedetto in gloria

Voci dal silenzio: l’arte del restauro (Intervista a Rita Bellatreccia)

Di Antonella Ivaldi e Rita Bellatreccia.

San Benedetto in gloria
Particolare dell’opera “San Benedetto in gloria” di Paolo Gismondi 1660

Abbiamo intervistato Rita Bellatreccia, restauratrice di opere d’arte. Vive e lavora in Umbria, sul lago Trasimeno, si occupa di restauro dal 1988. Ha lavorato a Cortona, Arezzo, Perugia, Città della Pieve e in tutto il comprensorio lacustre con i suoi paesi ricchi di presenze storico-artistiche. Insieme a colleghe e colleghi durante tutti questi anni ha visto passare in laboratorio centinaia di opere provenienti da committenza sia pubblica (Soprintendenze, Diocesi, Musei, Mostre) sia privata.

Rita ci svela i suoi vissuti nel laboratorio; un contatto riservato con se stessa e con l’artista dell’opera che restaura, un susseguirsi di percezioni, emozioni, pensieri, considerazioni che danno forma a un’esperienza estetica.

Rita: Dico sempre che faccio il lavoro più bello del mondo, anche se so che è una questione soggettiva e che sono una persona davvero fortunata a vivere in una zona così ricca di storia e manufatti artistici.

Quando capita di parlare della mia professione ho sempre la sensazione di non essere in grado di raccontare un mestiere che si realizza attraverso le mani, ma che richiede un forte coinvolgimento personale a diversi livelli

Antonella: Secondo un paradigma relazionale multidimensionale, la mente non è altro che la rappresentazione della relazione tra il corpo e il mondo.

Tutta l’arte passa dal corpo, anche il restauro.

Che solitudine è quella che vive un restauratore nel suo laboratorio?

Rita: E’ una solitudine parlante, è una solitudine che arriva alla sintesi di molte informazioni sia di carattere storico-artistico sia di carattere scientifico, pratico, esperienziale e di confronto, ciascuna delle quali è il frutto di anni e anni di conoscenza e relazioni.

Ci sono in realtà tante voci con me, non sono sola perché ho davanti una storia, la vita (quella che Cesare Brandi chiamava il tempo-vita!) di un’opera d’arte. Si “dialoga” con l’opera d’arte perché è lei che guida il lavoro con la sua unicità da individuare, riconoscere e rispettare in funzione di un corretto e puntuale intervento di restauro.

Antonella: E’ un momento meditativo quindi?

Rita: Si entra in una sorta di dialogo silente con l’opera. E’ un momento di conoscenza che richiede attitudine al rispetto, che richiede tempo per conoscere e che quindi ti porta ad entrare anche in te stesso di fronte all’immensità del messaggio contenuto nell’arte e rivelato attraverso l’oggetto che ora ha bisogno di cure e le cure non possono fallire!

Se questo si possa definire meditazione attiva non so, di sicuro ci sono momenti in cui il tempo esterno perde importanza e sono completamente assorbita dal lavoro. Le mani diventano strumenti che esplorano, sentono, realizzano un progetto.. sì..mi capita di perdermi e ritrovarmi.

Provo pudore a parlare di questa mia esperienza che mi è familiare, ma che difficilmente condivido apertamente.

Antonella: Ecco proprio il pudore, il rispetto, il silenzio sono parole passate di moda. Secondo me, invece sono valori da esaltare, da restaurare nel mondo contemporaneo in cui tutto fa rumore – Tanto rumore, velocità e tanta esposizione – Abbiamo l’obbligo ormai, per esistere, di esporci tanto, troppo. Penso ai social, al web, dove improvvisamente si diventa noti e amici di migliaia di persone. Botta e risposta con interlocutori mai incontrati dal vivo, il tutto a velocità vertiginose.

Ecco Rita se immagino il tuo lavoro, ti penso china ore e ore a curare millimetri di tela, nel tuo anonimato.

Cosa offre all’umanità un artigiano del restauro dal suo laboratorio, in silenzio?

Rita: Innanzi tutto grazie per aver usato il termine “artigiano del restauro”, è veramente calzante, mi sento un artigiano perché ho imparato un mestiere fantastico con anni di studio e pratica che continua sempre c on aggiornamenti, mi sento umile perché di grande ci sono le opere che ho il privilegio di avere nel mio laboratorio. Opere che sono una parte del nostro patrimonio culturale. Sento forte il senso di responsabilità nel custodire un’oggetto che appartiene a tutti noi e che tornerà alla collettività per continuare a trasmettere un suo messaggio.

Grazie anche del termine anonimato; effettivamente un restauratore, secondo me, non deve vivere per la ribalta che spetta all’oggetto del suo lavoro.

Si, sto ore ed ore a tu per tu con la materia di cui è costituita l’opera, materia sempre diversa e unica, assemblata in ogni pezzo in maniera diversa perché diverso è l’autore, il supporto, i leganti pittorici, i protettivi ecc.

Offro all’umanità (e tremo nel pensarlo!) il mio quotidiano impegno costante e faticoso che contribuisce, insieme ad altri fattori quali una corretta esposizione e manutenzione, al prolungamento della vita di un’opera che continuerà così ad essere goduta da tutti noi e da tanti altri dopo di noi.

Antonella: Quali contributi di bellezza ci hanno lasciato gli artisti di quelle tele che tu restauri?

Rita: Le opere d’arte o meglio gli artisti attraverso le loro produzioni hanno lasciato, più o meno consapevolmente, un racconto direi una narrazione; ogni volta che osserviamo una chiesa, un palazzo, un dipinto o una scultura, un codice miniato, noi stiamo leggendo una pagina di storia vissuta, una concentrazione di vita e sofferenza, amore e passione e ogni singola emozione che ha contribuito al suo concepimento in una sintesi artistica e in un preciso momento.

La bellezza non è mai solo una questione di canoni certi, poiché i canoni mutano e si evolvono con la società e dunque la bellezza coincide anche con la tenerezza e la forza contenute in opere anche meno note e accurate esteticamente, ma che racchiudono ancora di più il “sentire” di un’epoca e la tenacia con cui resistono nonostante le incurie del tempo e degli uomini – essa stessa è bellezza –

Le tele che restauro parlano anche della bellezza della devozione, dipinti goduti nel silenzio di una chiesa, tra luci tremule di candele e odore d’incenso; parlano ancora dello scorrere lento del tempo, un tempo sacro, universale, meditativo appunto.

Antonella: A cosa stai lavorando in questo momento?

Rita: Sto lavorando al restauro di due tele provenienti dal Santuario della Madonna del Bagno di Casalina – Deruta in provincia di Perugia – L’autore Paolo Gismondi le dipinse intorno all’anno 1660 su commissione di famiglie locali sicuramente ricche e devote alla Madonna lì venerata; infatti il Santuario ha le pareti interne completamente rivestite di piastrelle di ex-voto in ceramica di Deruta che raccontano di grazie ricevute per intercessione appunto della Vergine. E’ una visita commovente che consiglio vivamente di fare per apprezzare lo spirito semplice di un luogo magico e al tempo stesso intensamente vissuto, ancora oggi infatti ci sono fedeli che donano ex-voto che vengono murati alle pareti.

Le due tele rappresentano: una “Sant’Antonio da Padova e San Tommaso da Villanova che dona pane ai bambini” e l’altra “San Benedetto in gloria tra angeli e cherubini” e sono sui due altari laterali.

Bellissime entrambe, avevano necessità di risarcire degli strappi e delle mancanze serie unitamente ad un’operazione di rimozione di vecchie patinature e vernici alterate che, avendo inglobato depositi di polvere e fumo, rendevano la brillante e variopinta cromia seicentesca spenta e priva di toni. In quest’occasione si provvede anche al restauro delle importanti cornici in oro zecchino.

Antonella: Grazie Rita di averci permesso di avvicinarci al tuo prezioso lavoro.

Rita: Grazie a voi per avermi fatto parlare del mio silenzio.

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